La diffusione della pandemia, le conseguenti chiusure totali e parziali delle attività economiche e la successiva ripartenza a rilento, nel lungo periodo, hanno determinato un aumento considerevole dei costi di produzione per l’agricoltura. Il settore primario, fortemente dipendente dal petrolio, è uno di quelli che sta maggiormente risentendo degli aumenti, con un incremento dei costi di produzione dell’8,7%. E’ quanto emerge da un’analisi del Centro Studi di Confagricoltura su dati Ismea.
I soli prodotti energetici hanno subito un aumento complessivo del 27,6%; il costo dei fertilizzanti, fra agosto e settembre, è cresciuto dell’8,9%; quello dei mangimi del 3,4%.
L’aumento delle materie prime energetiche si è ripercosso indistintamente sui costi di produzione delle coltivazioni e su quelli degli allevamenti, rispettivamente con un + 9,2% per i primi e + 8,1% per i secondi.
Un aumento c’è stato anche nei prezzi al consumo, ma più contenuto rispetto a quello dei prezzi di produzione (solo +1,3%) (dati Istat).
Si è quindi venuta a creare una situazione che suscita forte preoccupazione e che potrebbe avere impatto anche sulla dimensione dei prossimi raccolti. In Italia e in ambito europeo gli agricoltori stanno, infatti, valutando il rinvio delle semine e la revisione delle consolidate rotazioni colturali.
Lo scenario è complicato per tutte le componenti la filiera agroalimentare, per questo Confagricoltura ha lanciato ai rappresentanti delle industrie di trasformazione e della distribuzione l’invito a sedersi attorno a un tavolo per discutere su come gestire questa difficile fase e valutare le misure di interesse comune da chiedere al governo.
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